La storia finora: i membri dei Vendicatori Segreti si erano presi una pausa per dedicarsi alla loro vita privata, ignari che i loro nemici si stavano preparando a colpirli da più parti.

Rientrata a casa dopo una missione segreta per conto dello S.H.I.E.L.D. Sharon Carter aveva fatto una macabra scoperta e ora sapeva di dover chiedere aiuto ma non si sarebbe rivolta alle autorità o allo S.H.I.E.L.D. per averlo. Quella era una questione privata e c’era un solo uomo a cui avrebbe potuto rivolgersi. Non aveva scelta.

#26

 

 NON DIRE UNA PAROLA

Di Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

Connecticut.

 

L’appartamento era illuminato da delle candele.  In sottofondo, musica d’atmosfera. La cena, preparata dall’uomo, era a base di pesce, accompagnato da dell’ottimo vino bianco italiano. Dopo settimane passate a combattere terroristi, spie internazionali, psicopatici ed assassini, per Steve Rogers e Donna Maria Puentes era il momento di prendersi una pausa dalla loro vita pericolosa e finalmente dedicarsi a loro stessi.

Steve aveva approfittato di questo periodo di quiete per preparare alla sua compagna una romantica cena in casa, cosa che la donna aveva assai gradito.

<Sei un autentico galantuomo, Steve Rogers. Un vero cavaliere d’altri tempi.> disse Donna Maria, mentre lui sparecchiava.

<Intendi dire che sono datato? Troppi cliché scontati?>

<Assolutamente no. Mi piace la galanteria. >

<Bene, mi fa piacere sentirtelo dire; a volte mi sento ancora a disagio con il ... corteggiamento moderno.>

<Oh stai andando benissimo. Inoltre, devo ammettere di essere sorpresa dalle tue qualità culinarie.>

<Merito di Jarvis. Sai, essendo stato single per molto tempo e non stando molto in casa, tendo a consumare pasti veloci. Ma mi sono fatto consigliare una ricetta adatta per l’occasione e devo dire che, come al solito, il suo gusto è stato impeccabile.>

<Puoi ben dirlo. Dovrò ringraziarlo quando lo rivedrò... intanto, credo sia arrivato il momento del dolce...> e così dicendo, con fare sensuale, Donna Maria si alzò dal suo posto e si avvicinò a Steve; una volta a pochi centimetri da lui, abbassò la zip del suo abito e lo fece cadere ai suoi piedi, rimanendo vestita solo dell’elegante e sexy lingerie nera.

Steve rimase senza parole davanti allo splendido spettacolo, e lei, facendo il più ammiccante dei sorrisi, gli si avvicinò porgendogli le labbra e socchiudendo gli occhi. Lui la strinse forte a se, baciandola con passione, poi la sollevò con le sue forti braccia, fissandola negli occhi, e la portò in camera da letto.

Ripresero a baciarsi, mentre lei lo aiutava a togliersi la camicia, ma il loro momento di passione venne interrotto dall’insistente bussare alla porta.

<Maledizione!! Ma chi diavolo è proprio adesso?> domandò Maria, innervosita.

<Non lo so, non aspettavo nessuno...>

Il bussare si fece sempre più forte, quasi come se qualcuno volesse abbattere la porta.

<<STEVE! APRI!>> gridò la voce dall’altra parte.

Steve si allacciò la camicia  e andò ad aprire; avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

<Sharon? Ma che...>

Sharon Carter aveva un aspetto orribile; il mascara che le colava sul viso indicava che aveva pianto. Non era assolutamente un buon segno: Sharon era una dura, niente la spaventava. C’era solo una cosa che poteva averle provocato quella reazione:

  successo qualcosa alla bambina?> intuì Steve.

Sharon scoppiò nuovamente in un pianto rabbioso. Lui l’abbracciò forte, mentre alle loro spalle Donna Maria, che si stava rivestendo, osservava con uno stato d’animo che mescolava imbarazzo e gelosia.

La bionda cercò di parlare ma le uscì solo un profondo singhiozzo. Tremava.

Steve la strinse ancora più forte.  Passarono due minuti in quel modo, ma il tempo sembrava essersi fermato.  Quando fu un poco più calma, la fecero accomodare in salotto. Donna Maria le portò un bicchiere d’acqua.

<Sharon... cos’è successo?> le chiese Steve.

Lei tirò fuori dalla borsetta il tetro cimelio che aveva trovato nella culla di sua figlia.

<Guarda tu stesso...>

Era un teschio. Un teschio rosso.

<Madre De Dios...> esclamò Donna Maria, spaventata alla vista dell’oggetto.

Steve non disse niente, ma il suo sguardo duro parlava per lui.

<L’hanno presa Steve. Quei mostri hanno preso la mia bambina. Tremo al pensiero di quello che... > Sharon non riuscì a finire la frase.

<Il Teschio Rosso è morto, ne sono certo stavolta. Devono essere stati quegli psicopatici che lavorano per lui. > così dicendo, le dita d’acciaio di Steve Rogers strinsero il teschio fino a frantumarlo; al suo interno c’era una chiavetta USB.

<Come immaginavo> disse <Qui avremo le nostre risposte. Donna Maria, raduna la squadra.>

<Certo.> rispose la bella ispanica.

 

 

Brighton Beach, Brooklyn.

 

Anche in questo appartamento la situazione era più o meno la stessa; James Barnes e Yelena Belova erano in intimità. Da un po’ di tempo, infatti, tra i due era cominciata una relazione di tipo sentimentale, anche se nessuno dei due si era mai posto la domanda di quanto fosse seria. In fondo, erano ancora agli inizi.

Yelena stava sdraiata con la testa sul petto di Bucky.  Lui stava in silenzio.

<A cosa pensi?> gli chiese lei.

<A nulla in particolare.>

<Sei sempre così taciturno.>

<Non ho molto da dire...>

<Siamo sempre indaffarati, alle prese con le nostre missioni, abbiamo così poco tempo per noi... cosa ti piacerebbe fare?>

<Uh, non saprei ... non lo so...>

<Andiamo... non c’è qualcosa che ti piace? Non hai una passione... un hobby?>

“Non mi ricordo” , ecco cosa voleva dirle. Non ricordava quasi  nulla della sua vita da civile se non quello che era  legato alla Seconda Guerra Mondiale, quando era solo un ragazzino. Ogni altro  ricordo che possedeva era legato ad una missione, una battaglia o un omicidio.

La situazione stava diventando imbarazzante.

Il suono contemporaneo delle rispettive communicard fu come una scossa per entrambi.

 Fu Bucky il primo a rispondere.

<Maledizione.> fu la sua prima reazione quando Donna Maria gli spiegò la situazione <Arriviamo subito.>

Chiusa la comunicazione, si rivolse a Yelena:

<Devo passare al mio appartamento a prendere il mio equipaggiamento.>

<Mi preparo e ti seguo.> fu la risposta di lei.

<Sei una ragazza in gamba.> le disse.

Lei sorrise e rispose:

<Lo so.>

Detestava ammetterlo, ma per Bucky fu quasi un sollievo uscire da quella situazione.

Non era per nulla a suo agio nelle relazioni romantiche con l’altro sesso. Non si hanno molti appuntamenti, quando si è un sicario del KGB. Questo avrebbe portato presto o tardi ad inevitabili problemi con Yelena.

Ma non era quello il momento di affrontare la questione. 

Oggi, c’era l’ennesima missione da compiere, e una vita innocente da salvare.

Pochi minuti dopo i due partivano a bordo di un’auto sportiva diretti verso Manhattan.

 

Una donna apparentemente giovane seduta al tavolino di  un vicino bar aperto tutta la notte, che indossava un elegante  tubino rosso, un cappello a larghe tese e occhiali scuri a nasconderle gli occhi, li osservò andar via. Si alzò, pagò il conto e mentre si allontanava sussurrò in Russo ad un microfono che era ben nascosto nella collana di smeraldi che portava al collo:

<Palacha a Krasnyy Cherep. I soggetti Zimoy Soldat e Chernaya Vdova hanno appena lasciato l’appartamento di lei in auto e di fretta. Devo provare a seguirli?>

<<No., è troppo pericoloso.>> rispose nella stessa lingua un uomo <<Sappiamo dove trovarli ormai… se sopravvivranno alla loro prossima missione.>>

“Lo spero” pensò la donna nota come Esecutrice con un sorriso maligno “Ho ancora un conto aperto con quella piccola shlyukha[1] che si fa chiamare Vedova Nera e intendo saldarlo”.

 

 

Da qualche parte in Bergen County, New Jersey.

 

Il posto in cui si trovavano era chiaramente un rifugio antiatomico costruito durante la Guerra Fredda, quando la paura di una guerra nucleare era quasi paranoica, ma questo non interessava granché all’uomo in costume nero con una maschera bianca modellata a forma di teschio e alla donna in calzamaglia nera sgambata che osservavano la bambina bionda sdraiata su una brandina.

Shannon Carter dormiva, ignara della gravosa situazione in cui si trovava.

<Per quanto tempo dormirà?> chiese Crossbones.

<Non c’è rischio che si svegli. L’ho ipnotizzata. Dormirà per ore.> gli rispose Madre Notte <Piuttosto, questo posto è lo stesso...?>

<Sì. È dove rinchiusero il capo quella volta. [2] Non la troverà nessuno qui.>

<Bene. Ora torniamo alla base; non ci metteranno molto a mangiare la foglia.>

 

 

Times Square, Midtown, Manhattan,.

 

Le prime luci del giorno filtrarono dalle veneziane svegliando Priscilla Lyons che si mise a sedere sul letto della stanza piuttosto squallida che aveva trovato in un piccolo hotel di quart’ordine, il meglio che aveva potuto permettersi con i pochi soldi che si ritrovava. Conosceva il genere, aveva vissuto in posti peggiori quando aveva toccato il fondo e vendere il proprio corpo le era sembrato accettabile, un errore che non intendeva ripetere. Una cosa era certa: se non avesse trovato alla svelta un lavoro, un qualche modo di fare un po’ di soldi,  presto  non le sarebbe rimasta come alternativa che dormire in qualche androne. Trovare chi cercava si stava rivelando più difficile del previsto.

 Era stata al palazzo dei Vendicatori per cercare informazioni solo per apprendere che l’intero gruppo era partito per lo spazio.[3] Jarvis aveva insistito perché si trattenesse a cena e lei non aveva saputo dire di no. 

Se non altro aveva risolto un problema. Ora doveva risolvere l’altro.

Si affacciò alla finestra per prendere un po’ d’aria e l’occhio le cadde su un’insegna dipinta sulla finestra del palazzo accanto. Perché no? Si disse, proviamo anche questa.

 

 

Base dei Vendicatori Segreti, Midtown Manhattan.

 

Steve Rogers squadrò  i membri della sua squadra. C’erano tutti a parte Amadeus Cho che non era ancora tornato dall’Arizona. Avrebbe dovuto fare senza di lui. Dopotutto, nonostante quello che lui stesso diceva e le battute dei suoi amici sul suo essere antiquato, ormai masticava abbastanza tecnologia moderna e azionare un computer non era un’impresa poi così difficoltosa. Infilò la chiavetta USB nell’apposito vano e azionò il comando che avrebbe trasmesso il video sul grande monitor alle sue spalle.

Dopo un attimo apparve un volto di donna.

<Madre Notte!>  esclamò Jack Monroe.

La donna prese a parlare:

<<Agli assassini del Teschio Rosso. Abbiamo rapito la figlia di Sharon Carter per farvi capire quanto siamo determinati ad ottenere vendetta  per quanto è accaduto a Washington.[4] Se volete rivedere viva la bambina…>>

Una webcam inquadrò un immagine di Shannon che dormiva placida e apparentemente in buona salute. Sharon si lasciò sfuggire un gemito. Madre Notte proseguì:

<<… recatevi qui.>>  apparve l’immagine di una grande dimora in stile gotico <<Confido che sappiate tutti dov’è ma se non fosse così, chiedetelo al Comandante Rogers. Lui lo sa. Fatelo entro la mezzanotte o il sangue della bambina ricadrà sulle vostre mani.>>

Il video terminò e Steve si voltò verso i  suoi amici.

<Non c’è altro. Si tratta ovviamente di una trappola. Dobbiamo aspettarci di tutto.> disse Steve.

Donna Maria fissava Sharon: era completamente diversa da come l’aveva vista a casa di Steve; dove prima c’era una donna sconvolta e distrutta, ora ce n’era una impassibile, concentrata, dall’aria risoluta. Ora capiva perché tutti ne parlavano in toni lusinghieri. Nel suo lavoro, Sharon era la migliore. Verso di lei provava sentimenti contrastanti, uno strano mix di stima e gelosia.

<Sharon te lo giuro...riavremo tua figlia. A costo di farli a pezzi con le mie mani.> le disse Jack, cercando di darle conforto. Ma la donna non fece trapelare la benché minima emozione.

Jack poi si rivolse a Steve:

<Quella era la Casa Del Teschio, la riconoscerei tra mille.>

<Esatto.> confermò lui <Ha senso per il loro contorto modo di ragionare.>

<Ci ha chiamati assassini del Teschio Rosso, ma non siamo stati noi ad ucciderlo.> intervenne Donna Maria.

<Hanno una logica contorta, come ha detto Steve.> spiegò il Soldato d’Inverno <Per loro i veri responsabili siamo noi che ci siamo sempre opposti al Teschio.>

<Cosa dobbiamo aspettarci?> chiese Yelena Belova.

<La Casa del Teschio è piena di trappole.> rispose Steve <Senza contare Crossbones e Madre Notte e chissà chi altro.>

<Quella… Ciurma degli Scheletri, forse?> chiese Donna Maria riferendosi alla squadra di superesseri al servizio del Teschio Rosso.

<Di quel gruppo solo Crossbones e Madre Notte risultano liberi ma il Teschio aveva anche altri scagnozzi.>

<Perché perdiamo tempo mentre mia figlia è ancora prigioniera di quei… quei bastardi?> sbottò Sharon esasperata.

<Calmati, Sharon.> le disse Steve avvicinandosi a lei <Salveremo... tua figlia. Anche perché forse quei due hanno fatto un errore.>

<Che… che intendi dire?>

<Il luogo dove hanno nascosto Shannon. Credo di averlo riconosciuto.>

 

 

Times Square, Midtown, Manhattan,.

 

Da ammiratore dei grandi detective privati della letteratura hard-boiled, anche Luke Cage aveva fantasticato di ricevere la visita di una splendida femme fatale che lo coinvolgesse in un’indagine complessa in un turbinio di sesso e violenza. A dire il vero gli era anche capitato  qualcosa del genere anche se il sesso era stato praticamente inesistente e la violenza decisamente troppa.

Quella che capitò  quel pomeriggio nell’ufficio del massiccio eroe a pagamento afroamericano non aveva esattamente l’aria della dark lady, ma nemmeno della ragazza di campagna.

Era una ragazza dai capelli corti color biondo veneziano, gli occhi nascosti da un  paio di occhiali da sole. Aveva tutte le curve al punto giusto, bisognava ammetterlo, e Luke la squadrò con aria da intenditore. Indossava pantaloni attillati, una maglietta bianca e un giubbotto di pelle nera. Sexy ma senza eccessi. Aveva l’aria di chi viaggia leggera, in moto magari.

<Luke Cage?> chiese.

A Luke venne quasi da ridere. Era ancora possibile confonderlo con qualcun altro?

<In persona.> rispose <Cosa posso fare per lei, Miss…>

<Lyons… Priscilla Lyons e vorrei il suo aiuto per rintracciare un uomo.>

<Beh, è quello che facciamo noi detective privati, perfino quelli con superpoteri come me.>

La ragazza abbassò gli occhiali e sbatté le ciglia.

<C’è un problema.> disse <Al momento non ho molti soldi.>

C’era da aspettarselo, pensò cinicamente Luke.

<Ma ho ancora un fisico atletico e se può interessarle posso pagarla... in altro modo.> disse, allusivamente.

Guardò ancora la ragazza. Era bella, indubbiamente. E dal modo in cui aveva avanzato quella proposta, era evidente che non era la prima volta che scendeva a compromessi del genere, ma l’espressione poco convinta faceva capire che era la disperazione che l’aveva spinta tanto.

Luke non poteva negare di aver avuto un istante di tentazione; era passato un po’ tempo dall’ultima volta che era stato con una donna... ma accidenti, mamma Lucas non lo aveva educato in quel modo, e si sarebbe fatto schifo per sempre se avesse approfittato di quella poveretta.

<Non sarà necessario> le rispose <Troveremo un altro sistema per il mio compenso, intanto mi dica qualcosa dell’uomo che dovrei trovare.>

Lei sospirò di sollievo e replicò:

<C’è un altro problema, pare che sia morto… ma io non ci credo.>

<Uhm non sarebbe il primo che è creduto morto e non lo è in cui m’imbatto. Io stesso sono uno di loro… ma lasciamo perdere. Ha qualche foto del tizio?>

<Quante ne vuole.> rispose Priscilla estraendo una manciata di foto dal borsello che portava a tracolla e gettandole sulla scrivania.

La prima ritraeva un ragazzo sui vent’anni circa, capelli e occhi castani,  sguardo franco e onesto; la seconda un uomo il cui volto era parzialmente coperto da una maschera che lasciava scoperti i capelli e la parte inferiore del volto; la terza un uomo dai capelli lunghi e gli occhi coperti da ampi occhiali da sole a specchio. Erano indubbiamente la stessa persona ma nella terza foto lo sguardo solare ed ottimista era stato rimpiazzato da uno duro e aggressivo. Luke lo riconobbe immediatamente.

<Ma questo è…>

<Nomad,> concluse per lui Priscilla <Mi aiuterà a trovarlo?>

Cage fece un ampio sorriso e rispose:

<Ci puoi scommettere, baby.>

 

 

Quartier Generale dei Vendicatori Segreti

 

<Tu sai dov’è Shannon?> esclamò Sharon <Dimmelo, Steve, dimmelo!>

<Calmati, Sharon.>  le disse Jack Monroe stringendole una mano <Lascialo parlare.>

<Grazie, Jack.>  replicò Steve Rogers <In effetti è così. Ho parlato con Nick Fury prima che voi arrivaste e mi ha detto che lo S.H.I.E.L.D. era riuscito ad infiltrare uno dei suoi  agenti tra gli uomini del Teschio e che questi, dopo che l’organizzazione di quest’ultimo è finita in pezzi in seguito alla sua morte, si è unito a Crossbones e Madre Notte assieme ad altri. Non appena ha potuto, si è messo in contatto con lo S.H.I.E.L.D. e gli ha fatto avere un file dove c’era anche questo.>

Apparve una serie di immagini tra cui l’interno di una camera blindata che Sharon riconobbe immediatamente: era indubbiamente lo stesso posto che Madre Notte aveva mostrato prima e dove teneva prigioniera sua figlia.

<Che posto è questo?> chiese.

<Un bunker antiatomico, costruito durante l’isteria da guerra fredda degli anni 50. Si trova in Bergen County, nel New Jersey, dall’altro lato del Ponte George Washington.> rispose Steve <Dalle informazioni che abbiamo avuto, anni fa Magneto ci rinchiuse il Teschio Rosso per farlo morire lentamente.>[5]

<Ci fosse almeno riuscito.> bofonchiò Nomad.

Steve proseguì:

<Crossbones deve aver trovato divertente l’idea di  imprigionarci almeno uno di noi. Il piano originale era rapire te, Sharon; devono aver cambiato obiettivo quando hanno scoperto di tua figlia.>

<Che aspettiamo? Andiamo a prenderla.> esclamò ancora Sharon chiaramente sconvolta.

<Non perdiamo la calma.> intervenne il Soldato d’Inverno <Ci hanno sicuramente preparato una trappola. Steve che suggerisci di fare?>

<Voi fate pure quel che volete.> sentenziò Sharon <Io vado a quel bunker a recuperare mia figlia.>

Era chiaro dal suo tono di voce che non sarebbe stato possibile farle cambiare idea. Steve sospirò disse:

<Vengo con te.>

Lei lo fissò con sguardo duro e alla fine replicò:

<D’accordo. Ti do cinque minuti per raggiungermi nell’hangar.>

 Bucky guardò Steve e gli disse:

<Nel suo stato potrebbe fare qualcosa di insensato e tu sei l’unico che può tenerla sotto controllo.>

Aveva ragione, naturalmente. 

Sul  volto di Donna Maria si poteva chiaramente leggere il disappunto  e la delusione per questo sviluppo.

Anche Jack Monroe stava per dire qualcosa ma rinunciò. Avrebbe voluto andare lui con Sharon, ma quella di Steve era la scelta più logica, doveva ammetterlo, maledizione. Tagliò corto ed esclamò:

<Noi che facciamo invece? Andiamo tutti in quella maledetta Casa del Teschio?>

<Ci andrete tu e Maria, Jack. Conosci il luogo e sai cosa aspettarti. Mi raccomando, fate molta attenzione.> <E noi due invece?> chiese la Vedova Nera.

 <Ho un altro compito da affidarvi per i quali siete i più adatti. L’infiltrato di cui vi parlavo ha trasmesso l’ubicazione dell’attuale rifugio di Crossbones e Madre Notte e lo S.H.I.E.L.D. ha organizzato una spedizione per espugnarlo. Voglio che gli forniate copertura di nascosto e vi teniate pronti ad intervenire se qualcosa va storto. Crossbones ha avuto un ottimo maestro in nefandezze e  se  l’agente dello S.H.I.E.L.D. è stato scoperto come temo, ci saranno brutte sorprese per i ragazzi di Nick.>

<Conta su di noi, Steve> disse Yelena.

Presero le coordinate del luogo e partirono.

Steve si avvicinò a Donna Maria. Non occorreva un genio per capire che era rosa dalla gelosia.

Avrebbe voluto parlarle, dirle che non c’era alcun motivo di dubitare della sua buona fede. Ma avevano una missione da compiere, e non era né il luogo né il momento di affrontare una discussione di quel genere, lo sapevano bene entrambi. Si limitò ad un bacio e a dirle:

<Mi raccomando, sta attenta.>

<Anche tu.> rispose lei.

Senza aggiungere altro, Steve raggiunse Sharon nell’hangar. I cinque minuti non erano ancora trascorsi.

Pochi minuti dopo tre auto volanti schizzavano nel cielo in tre direzioni diverse.

 

 

Siria.

 

<<Stanno arrivando!>> urlò la sentinella, scrutando l’orizzonte col binocolo <<Preparatevi!>>

Dietro una grande nuvola di polvere, infatti, numerose jeep si facevano avanti.

<Nuke, tocca a te aprire le danze.> ordinò Mike Rogers.

<Agli ordini, comandante.> Frank Simpson sollevò senza sforzo l’enorme mitragliatrice Vulcan che, preceduta da un breve ronzio, cominciò a sputare i suoi 400 colpi al minuto, mentre la pasticca rossa ingerita pochi minuti prima lo stava eccitando.

<Morite, dannati beduini!! Stasera farò vedove le vostre donne e orfani i vostri figli!!> urlava come un dannato.

Mike Rogers gli dava man forte, sparando colpi dal suo lanciagranate che provocavano esplosioni fragorose.

<ROMPIAMO LA FORMAZIONE!> urlò poi al resto della squadra.

Gail Runciter era una bella donna, ma non era meno sanguinaria dei suoi colleghi uomini.

<Comandante, stanno attaccandoci dal lato sinistro.> disse.

<Tranquilla, siamo coperti. Ci sei, Frank?>

Da un altopiano poco distante, Crimson Commando, armato di un potente fucile a distanza e del suo precisissimo occhio bionico, abbatteva gli aggressori ad uno ad uno.

<Bersagli eliminati.> si limitò a rispondere.

<<Assieme a loro ci  sono dei... demoni biondi! Dobbiamo fuggire! Adesso!>> urlò il capo dei narcotrafficanti, ma nessuno gli rispose. Attorno a lui c’erano solo cadaveri. Una donna incappucciata, che indossava un’armatura di ferro, aveva ucciso tutta la sua squadra con delle lame che ancora grondavano sangue.

<<No, ti prego non farlo... >>

Ma la donna mascherata non pareva nemmeno ascoltarlo, e lo freddò tagliandogli di netto la gola.

<Qui Iron Maiden. Il laboratorio è nostro.>

Pochi minuti e decine di morti dopo, Mike Rogers e il resto della ciurma la raggiunsero.

<Ben fatto. Questi bastardi si finanziavano spacciando questa merda.> disse.

<Quali sono gli ordini?> chiese Runciter.

< Tu e Iron Maiden portate via la roba già lavorata e i soldi. Nuke, dà fuoco a questa baracca.>

<Che ne facciamo di quelli che si sono arresi?> domandò Crimson Commando.

<Eliminateli.> sentenziò Mike, freddo come il ghiaccio.

 

 

Casa del Teschio. Upstate New York

 

Quel luogo emanava un’aria di morte. Sembrava una casa di fantasmi, come nei film horror. Quella fitta nebbia che la circondava, poi, non aiutava affatto.

Nomad era un duro, aveva girato in lungo e in largo l’America affrontando pericolosi maniaci e psicopatici, tuttavia entrare in quel luogo lo terrorizzava. Aveva rischiato di morirci, in una missione da incubo insieme a Steve, quando lui era ancora Capitan America e Jack era solo un “pivello” alle prime armi. [6]

Varcare quella soglia era come entrare all’inferno, ma cercava di nascondere il suo stato d’animo con un atteggiamento spavaldo.

Anche Donna Maria era altrettanto spaventata, ma come il suo amico cercava di non darlo a vedere, specie adesso che doveva confrontarsi con la Carter.

<Sei pronta?> le chiese Jack.

<Sì. Andiamo.>

Sapevano che dentro quelle mura li aspettavano dei veri e propri incubi.

Entrarono nel palazzo facendo molta attenzione. Si muovevano lentamente, coi nervi tesi, pronti a scattare.

<Dici che è il caso di dividerci?> chiese Donna Maria.

<No. Sono già stato qui con Steve anni fa. Dividersi è l’ultima cosa da fare. Dobbiamo stare uniti.> le rispose Nomad.

In quella casa buia e tetra, spiccava una stanza da cui si intravedeva una luce.

<Ci siamo. Aspettiamoci il peggio.> disse Jack <Vado avanti io.>

Afferrò la maniglia, varcò la soglia e...

 


Sharon lo attendeva con solo una sottoveste trasparente che non lasciava molto all’immaginazione.

Dietro di lei , un elegante letto a baldacchino con lenzuola di seta.

<Vieni da me Jack... è da molto che mi desideri, non è vero?>

<Sharon... ma cosa...>

<Ssssssh. Non dire altro.> disse lei avvicinandosi e portandogli le braccia al collo <Anch’io lo volevo da tanto tempo sai? Non credere che non abbia notato come mi guardi... sono pur sempre una donna, e tu mi fai sentire speciale... ora lascia che sia io restituirti un po’ di attenzioni...>

Jack si sentiva eccitato come mai. L’abbracciò e la baciò con passione, una passione da troppo tempo trattenuto e che finalmente trovava il suo sfogo.

 

La spiaggia era inconfondibile: era quella a Rio Valente dove Donna Maria aveva passato gran parte della sua giovinezza.

<Maria...> disse la voce alle sue spalle.

<Steve... ma... >

<Maria, amore mio...  vieni qui...> la prese dolcemente tra le braccia e la baciò.

<Voglio che mi sposi, e che veniamo a vivere qui, nel tuo paese. Voglio che diventiamo una famiglia.>

<Steve...  io...>

<Dimmi solo di si Maria. Dimmi solo di si.>  la baciò un’altra volta, e la strinse forte a se.

Il cuore di Donna Maria iniziò a battere all’impazzata e infine si lasciò trasportare anche lei dal desiderio.

 

Jack era preso dall’eccitazione e dal desiderio; continuava a baciarla e toccarla con ardore quando improvvisamente udì una strana risata che lo distolse dal suo impeto. Di colpo si accorse che sotto di lui non c’era più Sharon Carter ma Andrea Sterman, la sua ex psichiatra.

<AH AH AH AH AH AH AH!!! Hai ancora le visioni Jack? Dio, sei un povero idiota... ma pensavi davvero di avere una possibilità con Sharon Carter? Lei è troppo per te, Monroe... e tu lo sai bene! Come puoi competere con lui eh?>

Alle sue spalle c’era Steve Rogers, che indossava il costume da Capitan America ma senza maschera, e sul cui volto c’era un ghigno beffardo, come se si stesse prendendo gioco di lui

<Sei un fallito Monroe... una nullità! Non sei niente al confronto di lui... NIENTE! AHAHAHAAHAHAH!!>

Il volto della Sterman divenne mostruoso, con tanto di occhi rossi diabolici, zanne e lingua biforcuta.

<NOOOOOOOO!> urlò Jack disperatamente, iniziando a colpirla.

 

Avvolta dalle carezze focose di Steve e dalle onde del mare, Donna Maria era felice come non mai; l’uomo che amava la desiderava in tutti i modi in cui un uomo può desiderare una donna. Le sembrava di vivere una favola. Sospirava e gemeva, quando tutt’a un tratto riaprì gli occhi e si accorse che a toccarla e a baciarla non era Steve Rogers, ma il suo odiato e perverso cugino Hector Santiago, il crudele dittatore noto come “il Maiale” .

<Donna Maria... era da troppo tempo che desideravo possederti! Tu che prendevi il sole nuda, sotto i miei occhi... era per eccitarmi, non è vero? Sei sempre stata una provocatrice... e adesso ti darò quel che meriti!>

<NO! LASCIAMI!!> disse lei , colpendolo con forza.

 

Quando finalmente Jack riacquisì lucidità, si accorse con terrore che chi stava colpendo non era un mostro, ma in realtà era Donna Maria.

<Maria? Oddio no... no!  Maria io non volevo... rispondimi, ti prego... >

Capì in un lampo cosa era successo: da quando erano entrati nella casa dovevano  aver respirato un qualche gas che provocava allucinazioni e indeboliva la loro volontà. Aveva scatenato prima i loro desideri più forti e repressi e poi le loro maggiori paure e il risultato era stato questo.

Aveva deluso Steve ancora una volta.

Fu perché era immerso nei suoi cupi pensieri e concentrato su Donna Maria che sentì troppo tardi il rumore alle sue spalle.

Un taser lo colpì alla nuca, tramortendolo.

<È solo il primo degli incubi che ho in serbo per voi...> disse crudelmente Madre Notte, osservando con orgoglio il suo trionfo sui due.

 

 

Quartier Generale segreto del nuovo Teschio Rosso.

 

L’uomo con la maschera del Teschio Rosso, che indossava una tuta verde con il simbolo della falce e martello sul petto e un mantello pure rosso, guardò i membri della sua squadra d’élite in piedi davanti a lui:  uomini e donne che erano autentici specialisti nel loro campo, ovvero l’omicidio, lo spionaggio e le cosiddette operazioni nere. Una forza che lui era orgoglioso di aver formato.

<Compagni…>  esordì  <… negli ultimi tempi abbiamo tenuto un basso profilo ma ora è finalmente venuto il momento che il Mondo cominci a temere la nostra presenza.  Ognuno di voi ha ricevuto dettagliate istruzioni e mi aspetto  che facciate il vostro dovere.>

Il gruppetto viene sciolto  ma prima che escano il Teschio Rosso dice:

<Rimani un attimo, Compagna X.>

La donna dai capelli neri che indossava un’uniforme del disciolto KGB sovietico  si fermò e sorrise dicendo:

<A tua disposizione Tovarish Cherep.>

La porta si chiuse alle loro spalle e il Teschio le disse:

<Ho una missione adatta alle tue capacità. Devi agganciare un traditore della causa.>

<Un Russo?>

<Non dirmi che ti crea problemi?>

<Ne ho uccisi tanti a suo tempo. Tutti traditori che meritavano di morire. Questo che ha fatto?> replicò la donna con tono indifferente.

<Ti basti sapere che è di ostacolo ai nostri piani e va eliminato.> fu la secca risposta dell’altro <Ma prima devi strappargli tutto quello che sa sulla giovane Vedova Nera,  Yelena Belova e sui suoi compagni. Ti  fornirò un’identità fittizia a prova di bomba e le giuste credenziali per avvicinarlo. Il resto starà a te. Fai come ritieni più opportuno senza limitazioni.>

<Chi è il soggetto?>

<Il rezident del G.R.U.[7] negli Stati Uniti, Colonnello Anatoly Vladimirovitch Serov.>

<Interessante. Quando ero nel K.G.B .detestavamo quelli del G.R.U. e loro detestavano noi. Sarà un vero piacere ucciderne uno.>

Sotto la maschera  da teschio Aleksandr Vassilievitch Lukin sogghignò soddisfatto.

 

 

Da qualche parte in Virginia.

 

Dai velivoli della forza d’intervento  congiunta dello S.H.I.E.L.D. e delle principali agenzie di sicurezza degli Stati Uniti si paracadutarono gli uomini e le donne che la componevano . Appena arrivati al suolo si divisero rapidamente in piccole squadre e si avvicinarono silenziosamente all’ultimo rifugio conosciuto  di Crossbones  e Madre Notte.

Si apprestavano ad eliminare le eventuali sentinelle quando si accorsero che qualcuno li aveva preceduti.

<Pare che abbiamo un angelo custode… o forse più d’uno.>  commentò uno dei capisquadra

<Ma chi può essere?> si domandò uno dei suoi uomini <Se sono dei nostri, perché non si sono fatti vedere da noi?>

<Non lo so. Dico solo: approfittiamone e diamoci da fare.>

Gli angeli custodi in questione, ovvero il Soldato d’Inverno e la Vedova Nera, erano sdraiati in una specie di fossato non troppo distante e dalla loro postazione nascosta osservavano la scena.

<Non mi piace.> borbottò Bucky Barnes <Mi sembra tutto troppo facile.>

<Anch’io ho la tua stessa sensazione.> convenne Yelena Belova <C’è qualcosa che non convince neanche me.>

Erano arrivati poco prima e con l’efficienza che li contraddistingueva avevano neutralizzato  le poche sentinelle usando forza non letale come piaceva a Steve.

Si erano ritirati nell’ombra poco prima dell’arrivo delle squadre d’assalto ma erano rimasti col dubbio che ci fosse qualcosa che non andava.

I loro peggiori timori si realizzarono quando l’area fu scossa da una tremenda esplosione.

<NO!> urlò Bucky e balzò in piedi con il fucile stretto in pugno

 

 

Bergen County, New Jersey.

 

La Porsche Carrera Rossa di Sharon Carter atterrò vicino ad un prato verde non lontano da una villa che sembrava abbandonata da tempo.

<Ci siamo. È qui.> disse Steve Rogers.

<Ne sei certo?> domandò Sharon.

<Assolutamente. Le coordinate erano molto precise.>

Arrivati al punto esatto, Steve iniziò a scavare, trovando la maniglia di una botola di metallo. I suoi muscoli da supersoldato riuscirono ad aprirla, sebbene non senza sforzo.

Sharon prese una torcia e si calò al suo interno, cercando con ansia un segno di sua figlia.

La luce illuminò la sagoma della bambina, di spalle, sdraiata su un materasso lercio.

<Shannon!!> esclamò la donna nel vederla.

La prese tra le braccia cercando si svegliarla, per assicurarsi che stesse bene.

<Shannon, svegliati... sono la mamma!>

La bambina aprì lentamente gli occhi.

<Mamma... mammina?>

<Si, sono io amore mio... sta tranquilla, adesso ce ne torniamo a casa.>

<Mamma ... mamma ... mammaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhh...>

La faccia iniziò a squagliarsi, rivelando il volto di un robot.

<No... NO!>  gridò la donna.

<Maledizione! Quei bastardi ci hanno giocati!> Imprecò Steve. Era già stato ingannato in passato dagli automi del Teschio Rosso. La malvagità di quell’uomo sembrava non voler morire con lui.

Una risata diabolica risuonò dall’alto.

<Crossbones!> esclamò Steve furioso.

<Ci hai preso, Rogers.  Sai, ti confesso che non credevo che tu fossi tanto tonto da cascare in un piano tanto idiota, ma credo di averti sopravvalutato.>

<Che tu sia maledetto, dannato...>

<Risparmia il fiato, biondino. Ti servirà, là sotto.> Crossbones trascinò la botola e la chiuse sopra le loro teste.

Steve e Sharon furono inghiottiti dall’oscurità e da un lugubre ed inquietante silenzio di tomba.

 

 

CONTINUA!

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

Episodio quasi tutto d’azione ma in cui si prepara anche lo scenario per le storie a venire. Poche cose da dire:

1)    La Casa del Teschio è la dimora in stile gotico che il Teschio Rosso ha occupato durante il leggendario scontro tra lui e Capitan America in Captain America Vol. 1° #293/300 datati maggio/dicembre 1984. È piena di passaggi segreti e trappole.

2)    Fu in quell’occasione che furono introdotte Sin e le Sorelle del Peccato e che Susan Scarbo assunse l’identità di Madre Notte.

Nel prossimo episodio: i Vendicatori Segreti devono cavarsela contro quel che rimane dell’esercito dell’originale Teschio Rosso­. Nel frattempo il suo successore torna in campo.

 

 

Carlo & Carmelo

 

 



[1] Sgualdrina in Russo.

[2] Captain America Vol. 1° #367 (In Italia su Vendicatori, Marvel Italia, #4)

[3] In Vendicatori #95 per  la precisione.

[4] Su Vendicatori MIT #90.

[5] Avvenne su Captain America Vol. 1° #367 (In Italia su Vendicatori, Marvel Italia, #4).

[6] Su Captain America Vol. 1° #297/300 (In Italia su Capitan America & I Vendicatori, Star Comics, #39/40).

[7] Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direzione Principale Informazioni, il servizio segreto militare russo.